Chi crede che la Felicità dell'uomo
dipenda dalle circostanze reali
è completamente fuori strada.
Dipende dall'opinione che si ha delle Cose.
Erasmo da Rotterdam

giovedì 31 maggio 2012

IL POSTO FISSO


La mia vita continua apparentemente normale. Dico apparentemente perchè nei meandri della mia coscienza nulla è più normale. Non ho un posto di lavoro fisso da più di quattro anni. All'inizio la situazione non mi preoccupava più di tanto perchè nella mia razionalità mentale trovavo serenità nel considerare tale circostanza "provvisoria". Ma con il passare del tempo, questa giustificazione cominciava ad essere sempre meno sostenuta dalla realtà. Continuavo a ripetermi che prima o poi un posto di lavoro fisso l'avrei trovato. Fino a quando, disillusa, ho dovuto ammettere a me stessa che questo "prima o poi" non aveva definizione reale.
Completa sensazione di disidentità. Chi ero? Senza un lavoro "fisso", chi ero? Alla domanda "dove stai lavorando adesso?" - che tutti mi facevano manco a farlo apposta non appena mi incontravano - un totale imbarazzo mi avvolgeva sin nelle ossa. Farneticavo qualcosa, molto innervosita, che sottintendeva "ma perchè non ti fai i fatti tuoi?" oppure cedevo alla lamentela con frasi del tipo "guarda, non sto lavorando, è un periodo nero, che ci vuoi fare?". Ho patito molto per questa cosa. Non era tanto il denaro a preoccuparmi, quanto il sentirmi disconnessa dalla normale realtà quotidiana che ai miei occhi continuavano a vivere tutti gli altri. La gente si alzava al mattino, si preparava e andava al lavoro, semplice, normale, "giusto", così come avevo fatto io per tanti anni, un'occupazione, un impegno, uno stipendio a fine mese. Niente più di tutto questo. Giornate intere a non aver niente da fare, a sentirmi inutile. Si, perchè senza un lavoro mi sentivo messa in panchina, non avevo più un collocamento nella società, che continuava ad andare avanti e a funzionare anche senza di me.
Secondo round: la vergogna.
Possibile che tutti gli altri - amici, parenti, conoscenti - avevano un lavoro o pur perdendolo ne trovavano un altro ed io niente? Ogni volta che si preannunciava l'opportunità di una nuova occupazione, la cosa si dileguava misteriosamente. Allora sono io che non sono capace di badare a me stessa? Di agire in modo idoneo? Non ho abbastanza grinta per riuscire ad essere come gli altri?
E sempre quella domanda che risuonava nella testa: chi sono io? Che scopo ha la mia vita? Che ci sto a fare qui? Il futuro, un gigantesco punto interrogativo, che mi spaventava e mi preoccupava quotidianamente. Ogni giorno, e dico ogni santo giorno, mi svegliavo con l'angoscia nel corpo e dovevo ingegnarmi per superare quei momenti di panico e depressione per quel nuovo giorno che "dovevo" comunque vivere.
Fallimento. Guardavo indietro nel passato e tutta la mia vita mi sembrava un completo fallimento. Errori su errori, scelte sbagliate, decisioni prese con incoscienza. E tutto per arrivare alla situazione presente, niente lavoro, niente famiglia, niente compagno, niente figli, niente soldi.
Niente di niente. Solo una completa, enorme, spaventosa solitudine.
Bella storia. Complimenti! Mi dicevo.
Ora, la considerazione che faccio, a quasi quattro anni dall'inizio di questa mia avventura, è la seguente: ma tu guarda una circostanza che potrei definire alquanto comune come ritrovarsi senza un lavoro, quante cose tira in ballo! Disindentità, vergogna, senso di fallimento e soprattutto la domanda CHI SONO IO? Già, perchè noi generalmente pensiamo che una circostanza sia circoscritta a se stessa, che sia da risolvere in quanto problema diretto di quel dato fatto, e invece quante altre cose le ruotano attorno! L'idea che dietro a quanto mi è accaduto ci sia la mia volontà (inconscia si usa dire) di scoprire ed elaborare parti di me che altrimenti sarebbero rimaste nell'oscurità (e che male ci sarebbe stato?). Non so, ma so che noi non siamo solo ciò che crediamo di essere e non facciamo solo ciò che crediamo di decidere di fare, ma molto molto di più. Ritrovare il senso di vivere anche senza un lavoro fisso, ritrovare il valore di me anche se non sono riuscita ad essere come gli altri o come credevo di dover essere, ritrovare la gioia di sentirmi perfetta anche se non ho realizzato le mie credenze, questo è molto molto più importante del trovare un posto di lavoro fisso. A distanza di anni so che nulla di ciò che ho vissuto è stato sprecato. So che c'è qualcosa in noi (tutti) che persegue uno scopo, non nel senso inteso da noi quali esseri psico-mentali, bensì uno scopo che avvalora ogni cosa che accade e che noi - appunto esseri psico-mentali - giudichiamo in continuazione come giusto/sbagliato, bello/brutto, triste/felice, anche se nulla di tutto ciò gli appartiene. 
In questi quattro anni in cui mi sono "preoccupata", l'Esistenza ha continuato a prendersi cura di me, per darmi la possibilità di procedere nel lavoro interiore che comunque stavo svolgendo. 
Dunque la nostra paura di non essere come dovremmo, la paura di non farcela, di soffrire e infine di morire, è un modo attraverso cui l'Esistenza si prende cura di noi.  E' ciò di cui abbiamo bisogno ad un certo punto della nostra vita. Se accade, è così.
Questa è solo una mia testimonianza, una condivisione di ciò che mi è accaduto. Non per tutti è lo stesso. E non c'è alcun merito al riguardo, in quanto non c'è nessun "me" da poter lodare. 
Semplicemente è accaduto.

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